CECCO D'ASCOLI

CECCO D'ASCOLI



Francesco Stabili di Simone, noto come Cecco d'Ascoli, era poeta, medico, insegnate e astrologo/astronomo ( allora non vi era distinzione fra le varie scienze) e nacque ad Ancarano nel 1269, oggi parte della provincia di Teramo in Abruzzo.

Stando a quanto scrive il presbitero Jesino Colocci, governatore di Ascoli Piceno per conto di Papa Adriano IV, nel Codice Vaticano 4831(documento ritrovato e pubblicato da Giuseppe Castelli nel 1892) la madre di Francesco, iniziò ad avere le doglie nello spazio verde che circondava il tempio della dea Ancaria e che, a quel tempo, si trovava proprio nell’attuale territorio di Ancarano; non potendo tornare velocemente a casa, qui ella dovette partorire.
Il Castelli suppone quindi che la madre di Cecco fosse “devota” alla dea Ancaria, la quale veniva venerata dagli abitanti del territorio piceno come “Signora degli Animali”.
A distanza di secoli, questa dea continua a essere onorata ad Ancarano, sempre nello stesso periodo, essendo stata sottratta al rito pagano e sostituita con quello cattolico della Madonna della Pace.
Non essendoci riscontri certi sulla nascita di Cecco, se non appunto l'anno 1269, è proprio grazie al riferimento, nel Codice Vaticano 4831, della presenza della madre ai riti della dea Ancaria, che si è riusciti a collocare, verso la metà del mese di ottobre, il periodo solare nel quale sarebbe nato Francesco Stabili.
Sembra sia certa l'origina ascolana della famiglia di Francesco Stabili. E' proprio per questo motivo che ancora oggi la cittadina picena ne rivendica la paternità. Secondo Antonio De Santis tuttavia, nell’opera “Ascoli nel Trecento”, parlando della nascita di Francesco Stabili di Simone ad Ancarano dice che si tratta solo di una leggenda poiché la famiglia Stabili, benestante – si ipotizza che il padre di Cecco potesse essere un cerusico o un notaio e comunque un personaggio molto conosciuto in città – aveva nel quartiere di Porta Romana persino una rua1 dedicata, “rua degli Stabili” che attualmente non esiste poiché è stata distrutta la probabile abitazione per far spazio a un nuovo palazzo.


Nato sicuramente fra i confini delle Marche e gli Abruzzi, verrà ricordato con un piatto che contiene due prodotti della cucina di quelle regioni :


CREMA DI ASPARIGI E ZAFFERANO


Della sua vita di scienziato, invece, si hanno fonti certe. Francesco Stabili, dopo aver ricevuto la sua istruzione ad Ascoli Piceno nell’università del convento dei minori francescani, si laureò in medicina a Salerno. In seguito si trasferì a Firenze dove avviò importanti contatti e scambi culturali con gli stilnovisti Dante, Francesco Petrarca, Cecco Angiolieri e Dino Compagni. Tutti facevano parte della setta dei Fedeli d’Amore2.
Nel 1318 Cecco si trova a Bologna dove partecipa attivamente al fervore colturale ed anche alla vita di svaghi dell'ambiente universitario.


Questi primi anni a Bologna li ricorderemo col piatto:




LASAGNE CON SPEZIE E PARMIGIANO


Qualche anno dopo è già lettore presso lo Studio (Università di Bologna) e, proprio in relazione all'attività di insegnamento, scrive alcune fra le sue opere più importanti, fra queste c'è un Commento alla Sfera di Sacrobosco che illustra e discute il principale testo degli studi universitari di astronomia nel Medioevo. Il commento latino di Cecco, prodotto con ogni probabilità per l’anno accademico 1322-23, era destinato agli studenti iuniores, cioè le matricole.
Già nel corso successivo, il magister, rivolgeva però le sue lezioni agli studenti avanzati, dedicandosi per questo a un più impegnativo commento di una nota opera astronomica, quella di al-Qabisi.
L’attività di insegnamento dell’Ascolano si svolge in una fase di grande fermento dello Studio bolognese. In quegli anni si realizzava infatti, un felice connubio fra la tradizione degli studi di medicina e quelli filosofici e al contempo venivano elaborate le coordinate disciplinari dell’astronomia medica, così cara a Cecco. Inoltre, grazie ai proficui contatti personali con alcuni influenti docenti dell’Universitàs medicinae et artium, l’Ascolano si trovava nelle condizioni ottimali per coltivare le sue passioni scientifiche e per rendere pubbliche le sue idee.


Il testo di Sacrobosco “Sulle Sfere” (Tractatus de sphaera o semplicemente De sphaera), queste sfere celesti, lo ritroviamo nel piatto:


GNOCCHI AL GORGONZOLA E PRUGNE


Ma le condizioni politiche della Bologna celebrata da Cecco nei suoi scritti come città prospera e gaudente erano destinate rapidamente a cambiare.
In seguito ad una profonda crisi e ad una cocente sconfitta militare, i Bolognesi furono indotti a offrire la guida del governo al cardinale Bertrando del Poggetto, nipote di papa Giovanni XXII, che rafforzò il controllo della Chiesa sulla città. Anche lo Studio subiva un forte contraccolpo: venne infatti, meno il decisivo appoggio della potente famiglia dei Pepoli e molti studenti decisero di allontanarsi dalla città. In questo mutato clima politico e culturale gli scritti di Cecco cominciarono a destare sospetti di eterodossia.
La sua carriera accademica di Magister ascolano conobbe un veloce declino, i suoi scritti furono oggetto di esame da parte dell'Inquisizione. Il frate domenicano Lamberto da Cigoli, non ebbe nessuna esitazione a condannare le sue idee espresse nel Commento alla Sfera.
La sua scienza era considerata eterodossa dalla Chiesa per il ruolo centrale accordato alla magia e all'astrologia nell'indagine sulla natura e sull'uomo.
Secondo Cecco, infatti, le disposizioni degli astri regolano e orientano gli umori, le scelte e le attività umane. Per questo motivo appare utile allo scienziato indagare la natura con ogni mezzo di ricerca a disposizione, comprese la magia e la negromanzia, attività che si studia la presenza dei demoni.
Le stelle per Cecco non esercitano soltanto un influsso sulla sorte degli uomini, ma agiscono anche sul loro equilibrio psicofisico: non soltanto le malattie sono causate dalla posizione degli astri, persino i tratti del volto, il temperamento e il carattere delle persone sono impressi nelle persone dai corpi celesti.
Così, in una disputa accademica con un medico bolognese sul decorso delle ferite alla testa, Cecco era pronto a sostenere che la causa di una mancata guarigione doveva essere imputabile innanzitutto alle congiunzioni astrali, mentre la sua controparte indicava le ragioni nell'umidità del clima invernale della città emiliana.
Il potere dei corpi celesti non si limita per Cecco soltanto alla sfera umana: quando, infatti, le stelle e i pianeti si trovano in congiunzione astronomica particolarissima, che il nostro scienziato descrive accuratamente nel Commento alle Sfere, si manifestano sulla Terra gli spiriti dei demoni, che iniziano a vagare sotto mentite spoglie e a seminare discordia fra la gente.
Lamberto da Cingoli, dell'ordine dei predicatori, viste le sue lezioni ed udita la testimonianza di alcuni suoi studenti, con i quali si intratteneva "in fine lectionis", per aver parlato male e disordinatamente della fede cattolica, lo condannò alla confessione generale entro 15 giorni, a recitare ogni giorno 30 paternostri ed altrettante avemarie, a digiunare ogni sabato per un anno e ad ascoltare ogni domenica la predica nella chiesa dei frati minori.
Gli furono sequestrati tutti i libri di astrologia, venne privato di ogni incarico e della cattedra fino ad un termine indeterminato e fu condannato a pagare, entro la Pasqua successiva, 70 libbre di Bologna. Sembrava però, che da ciò la fama della misteriosa arte di Cecco fosse più accresciuta che diminuita, e il suo orgoglio già grande, crebbe a dismisura in quest'ultimo periodo della sua esistenza.
Il divieto di insegnamento venne sospeso nel 1325, in seguito alle pressioni di studenti e medici che avevano acclamato Cecco come loro maestro. Venne promosso alla cattedra superiore e quindi ad insegnare, non più agli juniores, ma ai maiores ed ai medici.
Oltre alcune lezioni di fisiognomica ed un saggio sul modo di trovare l'ultimo termine delle progressioni crescenti o decrescenti di numero pari o dispari di termini, poi commentò il "De Principiis Astrologiae" di Alcabizio collegandola alla "Sfera" del Sacrobosco.
Cecco d'Ascoli in quel periodo conquistò fama e gloria tanto che, il primogenito di Re Roberto, Carlo duca di Calabria, entrato in Firenze il 30 luglio 1326, lo nominò medico di corte.
Giunse a Firenze il 2 marzo 1327 a seguito di Carlo di Calabria che lo accolse fra i suoi medici con uno stipendio mensile di tre once d'oro. Prese quindi dimora in via degli Agli, vicino alla cattedrale, ove continuò ad interrogare il cielo e a tracciare oroscopi.


L'arrivo a Firenze non può che essere rappresentato con una :


TORTA AGLI AGLI


Cecco ebbe importanti contatti e scambi culturali con gli stilnovisti Dante, Francesco Petrarca, Cecco Angiolieri e Dino Compagni. Tutti facevano parte dei Fedeli d’Amore3 e si proponevano di esaltare la “sophia”, la divina sapienza, attraverso rime che li mettevano al riparo dal giudizio dell’Inquisizione.
Cecco d'Ascoli nelle sue opere polemizzò con Dante. I punti di frattura fra i due non mancano, anzi, si potrebbe dire che nulla è più lontano dall'orizzonte culturale di Cecco del profetismo poetico che anima la Divina Commedia. L'Ascolano non ne fa mistero e in un passo de L'Acerba (IV 45-62) dichiara:
Qui non si canta al modo delle rane/ qui non si canta al modo del poeta/ che finge immaginando cose vane”
e per chi non avesse capito quale era il bersaglio di Cecco:
Qui non si gira per la selva oscura/ qui non veggio né Paolo né Francesca”.
Cecco non accetta che alla sete di conoscenza possano esserci limiti, come afferma Dante nel Purgatorio “State contonte umani gente al quia” ( canto III, 37) monito con il quale il Fiorentino vuole dimostrare, attraverso la terribile punizione meritata da Ulisse per aver osato varcare le Colonne d'Ercole, i confini posti da Dio all'uomo ( Inferno , canto XXIV).
Anche per Cecco il cammino umano può conoscere ostacoli, ma ciò avviene soltanto a causa delle influenze astrali: il movimento delle stelle e dei pianeti condiziona infatti, a tal punto l'uomo da privarlo del libero arbitrio, affermato invece, con profondo rigore dottrinale da Dante.
L'ascolano non risparmia un rimprovero a Dante:
In ciò peccasti, fiorentin poeta,/ Ponendo che li ben della fortuna/ Necessiti sieno con loro meta” (Libro II capitolo I, verso 19-21), in quanto la fortuna è dispensata dagli astri.
Le visioni del mondo di Dante e quella di Cecco non potrebbero essere più distanti: una illuminata dalla fiducia di Dio che ordina il cosmo e orienta provvidenzialmente il corso della storia, l'altra animata dalla sete di conoscenza umana e dallo scatenarsi di forze spesso occulte della natura.
Cecco non poté negare del tutto la sua ammirazione verso lo stile del poema dell'Alighieri che scrisse “ con le dolci rime” e con “ l'acute lime”. Cecco asserisce tuttavia, che Dante narrava evidenti favole, che non poteva compiere il suo viaggio nell'altro mondo perché nessuno può distaccarsi dal proprio corpo. Egli infatti, era nemico di tali invenzioni e dispregiava simili ciarlatanerie. Oltre a molti altri punti criticava anche la persona stessa del Poeta per il suo naso aquilino, indizio evidente del suo cattivo carattere, della sua tendenza ad appropriarsi del bene altrui e soprattutto della sua natura selvaggia priva di scrupoli e di umanità. Con ciò forse Cecco intendeva alludere al fatto che Dante aveva attinto cognizioni astronomiche dalle sue opere, senza fargli onore di citarlo.

In questo contrasto fra Dante e Cecco d'Ascoli il piatto proposto è:


FUNGHI in OPPOSIZIONE


Nonostante le dispute letterarie o teologiche che caratterizzarono il loro rapporto sia Alighieri che Cecco, insieme ad altri rimatori del cosiddetto “Dolce Stil Novo”, sarebbero appartenuti ad una sorta di congregazione letteraria segreta chiamata “I Fedeli (federati) d'Amore”.
Oltre tutto, uno degli emblemi del gruppo sarebbe stata la femmina di cervo: non a caso l'Ascolano avrebbe intitolato la raccolta dei suoi pensieri più preziosi “La Cerba” (la Cerva), non l'Acerba come ordinariamente è stato chiamato il capolavoro poetico. La cerva universalmente simboleggia la sapienza, la verità, la conoscenza delle leggi del cosmo. Tutti elementi che Cecco ben conosceva e per cui si batté tutta la vita, che appartennero al patrimonio intellettuale di Francesco Petrarca e di Dino Compagni, di Francesco da Barberino e di Lapo Gianni e anche dello stesso Alighieri.



CERVO IN SALSA

Il Villani racconta ( 1348):


Come in Firenze fu arso maestro Cecco astrologo per cagione di resia.

[Capitolo XL pp. 41, 42]

Nel detto anno [ 1327], a dì 16 settembre, fu arso in Firenze per lo ‘nquisitore de’ paterini uno maestro Cecco d’Ascoli, il quale era stato astrologo del duca [ Carlo di Calabria], e avea dette e rivelate per la scienza d’astronomia, ovvero di negromanzia, molte cose future, le quali si trovano poi vere. […] La cagione perché fu arso si fu, perché essendo in Bologna, fece uno trattato sopra le spera, mettendo che nelle spere di sopra erano generazioni di spiriti maligni, i quali si poteano costringere per incantamenti sotto certe costellazioni a poter fare molte meravigliose cose, mettendo ancora in quel trattato necessità alle influenze del corso del cielo, e dicendo, come Cristo venne in terra accordandosi col volere di Dio colla necessità del corso di storlomia, e dovea per la sua natività essere e vivere co’ suoi discepoli come poltrone, e morire della morte ch’egli morio; e come Anticristo dovea venire per corso di pianete in abito ricco e potente; e più altre cose vane e contra fede. Il quale suo libello in Bologna ritrovato, e ammonito per lo ‘nquisitore che non lo usasse, gli fu opposto che l’usava in Firenze; la qual cosa si dice che mai non confessò, ma contraddisse alla sua sentenza, che poi che ne fu ammonito in Bologna, mai non lo usò; ma che il cancelliere del duca, ch’era frate minore vescovo d’Aversa, parendogli abominevole a tenerlo il duca in sua corte, fece prendere. Ma con tutto che fosse grande astrologo, era uomo vano e di mondana vita, ed erasi steso audacia di quella sua scienza in cose proibite e non vere, perocchè le ‘fluenze delle stelle non costringono necessità, ne possono essere contro il libero arbitrio dell’animo dell’uomo, nè maggiormente alla prescienzia di Dio, che tutto guida, governa, e dispone alla sua volontà.

Della morte del gran medico maestro Dino di Firenze

[Capitolo XLI p. 42]
Nel detto tempo [1327], a dì 30 di settembre, morì in Firenze maestro Dino del Garbo grandissimo dottore in fisica e in più scienze naturali e filosofiche, il quale al suo tempo fu di migliore e sovrano medico che fosse in Italia, e più nobili libri fece a richiesta e intitolati per lo re Ruberto. E questo maestro Dino fu grande cagione della morte del sopraddetto maestro Cecco, riprovando per falso il detto libelo, il quale aveva letto in Bologna, e molti dissono che ‘l fece per invidia.”

Durante il processo Cecco d'Ascoli interrogato su ogni capo d'accusa, rispondeva:

«L'ho detto, l'ho insegnato e lo credo»


Se il processo e l'invidia sono soggetti alle parole dell'uomo, visto che Cecco non riuscì a convincere i suoi giudici e fu condannato al rogo, cosa ci può essere di più indicato di una


LINGUA ARROSTO

Dopo la sua morte la figura di Francesco Stabili uscì dalla storia ed entrò subito nelle leggende e nell'immaginario della gente medievale.

Si racconta che durate il tragitto verso il patibolo, Cecco chiese un po' di acqua, immediatamente, da una finestra si affacciò un prete che disse alle guardie di non ascoltarlo, altrimenti il diavolo lo avrebbe salvato. Irritato allora, l'astrologo esclamò: “ E tu il capo di li non cavera' mai”.
Così accadde, la testa del prete si pietrificò ed ancora oggi sporge su un muro di Santa Maria Maggiore, in via dei Cerretani.

L'Ascolano, comunque, non si scompose più di tanto, era certo di non morire quel giorno e in Toscana, giacché da tempo aveva predetto la sua morte fra l'Africa ed un campo di fiori. Sicuro e giulivo, arrivò dunque al pratello dei condannati e con ironia guardò gli sbirri affacendati nei preparativi.
“Condotto al supplizio, Cecco mostrava animo intrepido, e di non curar punto la morte, tenendo per fermo che all’ultimo momento l’amico suo sarebbe venuto a liberarlo; ma saputo, quand’era giù sul rogo, ch’ivi presso era un fiumicello chiamato Africo, e pensato che Campo di Fiori dovesse essere la città che dai Fiori appunto deriva il suo nome, cioè Fiorenza, intese il diabolico inganno e morì disperato.4” Trovandosi nel mezzo ai luoghi previsti da lui stesso e vedendosi così burlato dal diavolo disse al boia:







1 La Rua era una macchina in legno che veniva trasportata a braccia in processione durante le feste popolari della città. Era il simbolo dell’orgoglio popolare. In realtà la Rua era l’insegna dei Notai usata nelle processioni della festa del Corpus Domini, istituita nel 1264 dal Papa Urbano IV. Il collegio dei Notai era all’epoca molto ricco e potente e poteva perciò permettersi l’insegna più sfarzosa.
2 Erano una confraternita. Nel caso dei Fedeli d’Amore, l’iniziazione era legata fortemente ad un’illuminazione interiore ed individuale che veniva antropomorfizzata sotto forma di amore per una donna, che acquisiva una valenza doppia: da un lato, ella era oggetto dell’amore del Fedele in quanto essere umano e, dall’altro, trasposizione simbolica di quell’anelito d’amore che conduce ad una ricongiunzione col divino. In questo senso, la confraternita dei Fedeli d’Amore è spesso fatta derivare da o accostata al sufismo, deviazione esoterica della religione islamica secondo la quale il traguardo dell’esistenza umana consiste nell’andare incontro alla Verità, attraversando i sentieri lastricati di Amore Puro e devozione assoluta. L’allegorizzazione della donna e dell’amore terreni come contenitori di simbolismo divino risaliva, anche, al sufismo. Molte poesie sufiche, infatti, gettano luce sull’idea di una purificazione del cuore da tutte le scorie derivanti dall’esperienza dell’immanente, al fine di sciogliersi e fondersi col trascendente......
Altra fonte:
L'ordine dei Fedeli d'Amore è una società segreta di letterati, alla quale apparteneva anche Dante e nel cui contesto Guido Cavalcanti appare come un maestro. Questo ordine si situa all'incrocio tra due culture: una, provenzale, è la lunga discendenza di trovatori e trovieri, che Cavalcanti e Dante portano a compimento; l'altra, che apporta una mistica nuova, è quella del sufismo.
La poesia dei sufi incontrò l'Occidente grazie alle crociate.
3 Vedi nota n. 2.

4Arturo Graf - Il diavolo (1889).

Nessun commento:

Posta un commento