BANCHETTO MEDIOEVALE
Fra arte culinaria medievale e sapori di cultura
Sul tema:
Conflitti e rivalità fra Firenze e Pisa nel Medioevo
A cura di :
Maurizio
Baldecchi
INTRODUZIONE AL BANCHETTO
Il banchetto medievale è il convivio per eccellenza, ossia il luogo
dove forti si manifestano i simboli del potere e della nobiltà, dove si
mostrano le proprie ricchezze, dove si stringono le alleanze, dove si partecipa
alla vita sociale, ma dove possono nascere odi e conflitti.
Nel castello di Campi, Mazzingo Tegrini, celebrò, con molti invitati,
con giostre e banchetti, la sua elevazione a cavaliere. Per far divertire i
convitati, erano presenti giocolieri,
cantori e buffoni, spesso facevano”brutti tiri” agli invitati. Durante il
banchetto uno dei giocolieri, sottrasse al cavaliere Uberti degli Infangati, il
piatto ricolmo. A quei tempi [1216]
usava che nello stesso piatto mangiassero due invitati ed il compagno degli
Infangati che era il cavaliere Buondelmonte dei Buondelmonti, si irritò per lo
stupido scherzo. Ne nacque un diverbio, al quale partecipò anche Oddo Arrighi
dei Fifanti, e si mise ad insultare l’Infangati, quest’ultimo gli tirò il piatto. Ne nacque un
tumulto, il banchetto ebbe fine anzi
tempo, le tavole furono tolte di mezzo, e il Buondelmonti eccecato dall’ira e
dal vino ferì con una coltellata al braccio l’Arrighi. L’offesa e il ferimento richiedevano o
vendetta o pacificacazione, col perdono
scritto, sanzionato con un bacio.
Nella riunione che gli Arrighi organizzarono fu stabilito di spengere
l’odio e ristabilire la pace con un matrimonio fra le due famiglie:
Buondelmonti e Arrighi. Il Buondelmonti avrebbe sposato la nipote di Oddo
Arrighi figlia di Labertuccio Amidei. La pace fu fatta il contratto di
fidanzamento venne esteso con atto notarile. Il giuramento pubblico alle
celebrazione delle nozze doveva seguire di lì a poco. Il fidanzamento non
piacque a Madonna Gualdrada, moglie di Foreste dei Donati. Certa che sua figlia
fosse bella, cercò di far sciogliere la promessa di matrimonio, ed aspettò il
Buondelmonte e gli disse: “ Sono veramente felice che abbiate gia scelto la
vostra futura moglie, ma è comunque un vero peccato…perché avevo pensato di
darti mia figlia…” e gliela mostrò. Il Buondelmonte fu fulminato dalla sua
bellezza che rispose:” Sarei veramente un ingrato a rifiutarla, visto che
l’avete custodita per me e io ancora non sono sposato!” e senza perder tempo,
fece celebrare le nozze.
Quando gli Amidei e gli Uberti, vennero a conoscenza dell’accaduto
furono presi da tale collera che l’unico
modo per vendicarsi fu quello di uccidere il Buondelmomte, la mattina di Pasqua. Questo omicidio divise Firenze, alcuni appoggiarono i Buondelmonti altri con gli
Amidei. Scoppiarono così conflitti in città.
Quando Federico II, re di Napoli, decise di aumentare il potere in
Toscana per sferrare un attacco contro la Chiesa, appoggiò la fazione degli
Amedei che cacciarono i Buondelmonti: così i primi si schierarono con
l’imperatore, i fuggitivi con la Chiesa, i primi diventarono Ghibellini i
secondi divennero i Guelfi.
I banchetti importanti si
componevano di numerosi servizi, ognuno dei quali comportava un insieme di
piatti diversi, che venivano posti simultaneamente sulla tavola. Ciascun convitato, poteva usufruire solamente
dei piatti alla sua portata. In tal modo, a seconda del posto che ognuno
occupava, si operava una selezione gerarchica delle vivande , più o meno
raffinate.
La parte centrale della
tavola era riservata agli ospiti d’onore. Allontanandosi dai posti vicino agli
ospiti d’onore il rango gerarchico diminuiva, così come l’abbondanza delle
vivande.
DANTE ALLA CORTE DEL RE
ROBERTO
(Novella LXXI Sercambi)
Dante giunse
alla corte di Napoli vestito con neglicenza, come “soleano li poeti fare”. Era
ora di pranzo e, a causa del suo abbigliamento, fu messo in coda di tavola.
Dato che aveva fame mangiò lo stesso, ma appena terminato il pasto lasciò la
città. Il re, confuso per aver trattato male il grande poeta, gli inviò un
messaggio e l’invitò nuovamente a corte. Stavolta Dante si presentò a pranzo
riccamente vestito, per cui il re lo fece mettere in capo della prima mensa. Il
servizio era appena iniziato quando il poeta cominciò a roversciare cibi e vini
sui suoi abiti. Al re che, stupefatto, gli chiedeva i motivi del suo atteggiamento,
rispose: “Santa corona, io cognosco che quel grande onore ch’è ora fatto, avete
fatto a’ panni e pertanto io ho voluto che i panni godano le vivande
aparecchiate. E che sia vero, vi dico io non ho ora men di senno che allora
quando prima ci fui, che in coda di taula fui asettato, e questo fue perch’io
ero malvestito. Et ora con quel senno avea son ritornato ben vestito e m’avete
fatto stare in capo di taula.”
Solo alla fine del XVIII
secolo la successione delle portate diventa come la conosciamo, antipasti,
primi (paste in brodo o asciutte), secondi ( in salsa o umidi o torte salate),
terzi ( arrosti), dolci e frutta. In epoche precedenti lo svolgimento del
pranzo era concepito in maniera del tutto diversa, lontano dai nostri gusti. Lo
zucchero, era considerato una spezia, ed utilizzato come tale, di conseguenza,
il contrasto dolce salato nella solita pietanza era forte e si passava da
piatti dolci a piatti salati con facilità. Se prendiamo per esempio le ricette
del Biancomangiare ( ricette dove tutti gli ingredienti sono di colore
bianco) troviamo petti di pollo e riso,
cotto nel latte di mandorle. Questa ricetta non avrebbe nulla di strano per i
nostri gusti se fosse stata condita con il sale, invece, la troviamo condita
con dello zucchero e quindi oggi, improponibile.
I banchetti si aprivano con
una colazione: gli invitati venivano
accolti in una sala diversa da quella da pranzo, stavano in piedi e veniva loro offerto della frutta fresca accompagnata a del vino dolce.
Entrando nella sala le tavole,
ricoperte da tovaglie erano quasi sempre disposte ad U e i convitati occupavano il lato esterno per meglio godere
degli spettacoli che venivano proposti all’interno.
Prima di mettersi a tavola
era regola lavarsi le mani, come gesto simbolico, sopravvissuto nel rito della celebrazione
dell’eucarestia durante la messa ( anche fra i mussulmani era rituale lavarsi
le mani prima di mangiare ed a fine pasto [ Mille e una notte, Storia del piccolo Gobbo])
La tavola veniva coperta con
la tovaglia: mangiare senza tovaglia era segno di povertà o di penitenza. Il
tovagliolo apparirà a partire dal XIV secolo. Spesso fra l’apparecchiatura
della tavola erano presenti degli acquamanili,
dove si potevano lavare le mani. In mancanza di questi per pulire mano e bocca
si utilizzava la tovaglia.
Sempre nel Trecento compare
la forchetta: nella ricetta delle lasagne (seconda portata del primo servizio)
viene consigliato di mangiare con un bastoncino appuntito.
L’uso della forchetta cresce
col difforndersi del culto della pasta, e alla fine del XIV secolo doveva
essere ormai di uso quotidiano Visto che, questo utensile, viene citato dal
Sacchetti in una sua novella:
Noddo d’Andrea grandissimo mangiatore che ingurgitava facilmente i cibi
ancora caldi, pregava sempre il Dio che, quando si trovava a mangiare a
tagliere, le vivande fossero roventi cosicché potesse divorare anche la parte
del compagno. Un giorno si trovò compagno di tavola con un tale, Giovanni
Cascio, e furono serviti sul loro tagliere maccheroni bollentissimi. Così
mentre Giovanni aveva ancora il primo boccone sulla forchetta, Noddo ne aveva
già mangiati sei. Allora Giovanni, per non lasciare mangiare la sua parte al
compagno, inizio a gettare la pasta al cane, tanta quanto Noddo ne mangiava. Il
divoratore di maccheroni provò a rimproverare il compagno, ma di fronte alla
sua fermezza, per non vedere sprecata tanta pasta, acconsentì a mangiare più
lentamente.
Qui abbiamo parlato di
classe ricca e nobili, il popolo ovviamente mangiava in modo diverso, ce lo
descrive un cuoco dell’abbate, in una novella del Sermini (Mattano da Siena).
In prima lui non è cittadino, ma nato ed allevato in contado, e di poi
è uso di panberare[1] la mattina due o tre
volte, e merendare, e poi cenare la sera il paperotto con cicerchiate e
cavolate riscaldate più volte, e acque pazze o rapucciate coll’aglio, empiendo
la minestra con lunghe fette di pane partite sul petto, e rammorsarle,
insupparle più volte, e dalle mani sue, quante sono onte, non saprebbe che
farsene, uso a forbille sul petto o a’ fianchi, per non imbrattare le bianche
tovaglie e li panni di dosso. Altri che quelli di villa spesso lo patirebbero,
per l’uso che ha preso di fare.
E’ uso a mangiare tutta la gran minestra prima che boccone di carne
egli assaggi; poi piglia a un tratto la carne e il soave[2]
colle gran fette di pane, e alle volte v’intigne tutte le dita con goggiolarsi
sul petto; e del leccare delle dita insavorate non dico; che pare ch’è succhi i
fiedoni; e così vorrebbe il forte aglione con capponi o fagiani o starne, come
col vieto lardo che usa il contado. E, se mangia porri, sempre dalle fronti si
comincia ammorsare col bon suppare nella salettiera l’ammorsato più volte.
INTRODUZIONE AL MENU’
Questo banchetto sarà un
viaggio nel tardo medioevo, nel periodo dello scontro storico fra Firenze e
Pisa. Tutte le ricette vengono da manoscritti dell’epoca, ed i piatti scelti
danno uno spunto per calarsi dentro al conflitto fra le due città. Alcuni piatti
sono accompagnati da passi della Divina Commedia o presi dalla Cronaca di Giovanni Villani, cronista
Fiorentino che morì durante la peste del 1348.
La cagione perché si
cominciò la guerra da’ Fiorentini e Pisani
Alla detta
coronazione dello ‘mperatore Federigo [Novenbre 1220 , fu coronato e consacrato
a Roma a imperatore Federigo secondo re di Cicilia], si ebbe grande e ricca
ambasceria di tutte le città di Italia, e di Firenze vi fu molta e buona gente,
e simile di Pisa. Avvene che uno grande
signore romano ch’era cardinale, che per fare
onore a detti ambasciatori, convittò a mangiare gli ambasciatori di
Firenze, e andati al suo convitto, uno di loro veggendo uno bello catellino
[cagnolino] di camera al detto signore,
si gliele domandò; ed il detto signore disse che mandasse per esso a sua
volontà [ pausa e spiegazione ]. Poi il
detto cardinale il dì appresso convittò gli ambasciatori di Pisa, e per simile
modo uno de’detti ambasciatori invaghiti del detto catellino e domando in dono.
Il detto cardinale non ricordandosi come l’aveva donato l’ambasciatore di Firenze,
il promise a quello di Pisa, e partiti
dal convitto, l’ambasciatore di Firenze mando per lo catellino, e ebbelo. Poi
vo mandò quelo di Pisa, e trovo come l’avevano avuto gli ambasciatori di
Firenze: recolosi in onta e in dispetto,
non sappiendo com’era andato il detto dono del catellino; e trovandosi per Roma
insieme i detti ambasciatori, richeggendo il catellino, vennero insieme a
villane parole, e di parole si stoccarono; onde gli ambasciatori di Firenze
alla prima si sopperchiarono e villaneggiate dalle persone, perochè con gli
ambasciatori di Pisa avea cinquanta soldati di Pisa. Per la qual cosa tutti i
Fiorentini ch’erano intorno alla corte del papa e dello’mperatore, che erano in
gran quantità s’accordarono e assalirono i detti Pisani con aspra vendetta; per
la qual cosa scrivendo eglino a Pisa, com’erano stati soperchiati e vergognati
da’Fiorentini, incontamente il comune di Pisa fece arrestare tutta la roba e
mercatanzia de’Fiorentini che si trovava in Pisa, ch’era in buona quantità.
[……..] Questo cominciamento e cagione
della detta guerra […..] per la contenza di un piccolo cagniuolo, il quale si
può dire che fosse diavolo in ispezie di catellino, perché tanto male ne segulo.
Il conflitto fra Firenze e Pisa bloccava spesso
l’arrivo a Firenze del sale. Questa mancanza di sale ha portato alla produzione
del pane sciocco, che ora è rimasta come caratteristica del pane toscano.
Tu proverai sì
come sa di sale
lo pane
altrui,
PARADISO, CANTO XVII, 58-59
[ E’ il passo della Divina Commedia dove Cacciaguida
annuncia a Dante il suo prossimo esilio. ]
COLAZIONE
La colazione corrisponde al nostro aperitivo,
serviva per intrattenere gli ospiti, prima di andare a tavola. Venivano serviti
frutta e vino dolce: Malvasia, vini greco,
vino di Cipro o di Gaza. Il tutto veniva consumato in piedi.
PRIMO SERVIZIO
La scelta della successione delle portate è
effettuata secondo i criteri attuali: partiamo da tre piatti che oggi sarebbero
considerati tre primi.
PORRATA VERDE
DI MAGRO
La porrata è uno dei piatti base della cucina
medievale, è a base di verdure a foglie come bietole, spinaci, crescione o
porri. Le porrate si distinguevano dal colore: bianco , verde o nero.
Questa porrata è a base di foglie di bietole,
generalmente veniva aggiunta della pancetta e del lardo; nei giorni di magro
quest’ultimo era sostituito dall’olio.
La porrata è un piatto povero che ci riporta alla
carestia del 1322, che colpì tutta l’Italia, specialmente Pisa, Pistoia e
Lucca.
Del detto anno
1322 del mese di Novembre, e Dicembre, e Gennaio, fu in Italia la maggior
vernatura, e di più nevi che fosse grande tempo passato; e in Puglia fu si
grande secco, che in più di mesi otto stette che non vi piovve, per la qual
cosa grandissimo struggimento e carestia di tutti i beni fu nel paese; e così
segui quasi in tutta Italia, specialmente in Pisa e in Lucca e Pistoia,
grandissima fame e carestia, onde tutti i poveri di loro contado fuggirono per
la fame a Firenze, e in Firenze medesimo fu caro; le due mezzo staia di grano
un fiorino d’oro.
[Spiegazione:
anno di incarnazione, lo staio , nel 1309 lo staio di grano costava 8 soldi
( circa 0,25 fiorini)]
LASAGNE
Questa ricetta, trascritta da un manoscritto
medioevale, presente nella biblioteca nazionale di Parigi; non è la prima
ricetta di lasagne ritrovata. Apicio nel
IV secolo d.C. scrisse due ricette di laganae
romane, una cotta in acqua bollente ed una cotta al forno e ciò le rende due
prodotti ben distinti. Troviamo altre ricette italiane una cotta nei giorni
grassi in brodo di carne e una nei
giorni di magro cotta in latte di mandorle.
Questa ricetta che vi presento è l’unica che spiega
come si fanno le lasagne – sfoglia tirata a mano e poi tagliata a quadri nelle
dimensioni di tre dita. E spiega di utilizzare un utensile per mangiarla: Postea, comede cum uno punctorio ligneo
accipiendo ( Poi si mangiano
prendendo con un bastoncino di legno appuntito).
La ricetta utilizza pasta lievitata a differenza
della pasta fatta con farina ed acqua, la pasta lievitata cotta in acqua
bollente presenta una leggera elasticità, e tale consistenza è molto simile a
quella della pasta “ al dente”.
GNOCCHI DI
FORMAGGIO FRESCO
Oggigiorno la parola gnocchi sta ad indicare palline
di pasta a base di patate o zucca. Nel Medioevo non avevano ancora le patate,
esse arriveranno in seguito
dall’America. A Firenze, le patate, fino
a tutto il ‘600, erano considerate solo ornamento per i giardini botanici; fu
Francesco Redi a presentare le patate fritte al Granduca e da allora piano
piano vennero sempre di più apprezzarte. Qui gli gnocchi sono polpettine di
farina, formaggio fresco e torli d’uovo. All’interno di questi gnocchi troviamo
pezzetti di prugne, cotte in acqua bollente, condite con prugne e gorgonzola.
Il gorgonzola era chiamato col nome di “tracchino di
Gorgonzola” cittadina, alle porte di
Milano, oppure “ formaggio verde”. Conosciuto gia alla fine de VIII secolo.
Il gorgonzola si caratterizza per la leggenda che
verte intorno alla sua nascita:
“ Un giovane
casaro, innamorato di una giovane contadina, la sera mentre lavorava ad una
cagliata, vide dalla finestra passare il suo amore, e gli andò incontro. I due
innamorati si appartarono e passarono
tutta la notte insieme, lasciando la cagliata a mezzo. Quando la mattina di buon ora il giovane
ritornò nel caseificio,vide che la cagliata aveva preso la muffa, per ciò,
per paura delle conseguenze, vi aggiunse il latte appena arrivato dalle
stalle: nacque così un formaggio
decisamente nuovo e con un gusto ed odore forti. Il padrone apprezzò enormemente il risultato, ed ordinò
di ripetere la produzione del nuovo formaggio, in questo modo il giovane
casaro, poteva uscire prima dal lavoro ed incontrare la sua bella”.
SECONDO
SERVIZIO
Al secondo servizio appartengono una serie di
portate di mezzo: sono torte salate. La prima è:
TORTA D’AGLI
Gli agli sono stati
un prodotto molto importante durante tutto il medioevo, lo troviamo in
molti piatti e salse, fino ad una torta a base di agli. Nello Statuto comunale
di Castelfranco di Sopra (Ar) del 1394, si obbligavano tutte le famiglie che
vivevano nel castello a seminare gli agli, oltre a cipolle e cavoli
(ingredienti principali della nostra ribollita). Molti aneddoti esistono su
questo ingrediente, qui riportiamo parte di una novella da Le mille e una notte ( Storia del piccolo gobbo):
Il decimo
giorno dei festeggiamenti per il matrimonio, e verso sera, essendomi seduto a
tavola, mi furono servite molte qualità di vivande e d’intingoli: fra gli altri
un manicararetto con l’aglio,[….].Lo trovai tanto buono e delicato, che non
toccai quasi nulla delle altre vivande. Ma per disgrazia, quando mi alzai da
tavola, mi contentai di asciugarmi le mani, invece di lavarmele bene: era
quella una trascuratezza, che non mi era mai accaduta prima.
[….]
Terminate
finalmente tutte queste cerimonie, fummo condotti nella camera nunziale.
Rimasti soli, mi avvicinai per abbracciarla: ma lei, invece di corrispondere ai
miei trasporti, mi respinse violentemente e proruppe in grida spaventevoli;
subito accorsero nella camera tutte le dame dell’appartamento, e vollero sapere
il motivo dei suoi clamori.
In quanto a me, preso da grande stupore, me
n’ero rimasto immobile senza neppure avere il coraggio di chiedere la ragione.
[…]
“Levatimi”,
esclamò mia moglie “ levatemi da davanti agli occhi quest’uomo incivile!”
“ Ah! Signora”
le dissi” in che posso aver avuto la disgrazia d’incorrere nel vostro sdegno?”
“Voi siete un
incivile”, mi rispose furiosa, “ avete mangiato l’aglio, e non vi siete lavato
le mani. Credete che io possa sopportare un uomo così maleducato?”
“Stendetelo
per terra”, soggiunse, parlando alle dame, “ e mi si porti un nervo di bue:”
Quelle mi
rovesciarono a terra e mi tenevano [….] mia moglie [..] mi battè, finchè le
mancarono le forze.
Allora disse
alle dame:
“Pigliatelo,
conducetelo dal luogotenente criminale perché gli sia tagliato la mano, con la
quale ha mangiato l’intingolo con l’aglio”.
A queste
parole eslamai:
“Gran
Maometto! Ho il corpo rotto e lacerato dalle bastonate, e per di più sono
condannato ad avere la mano tagliata! E perché? Per aver mangiato un intingolo
con l’aglio ed essermi dimenticato di lavarmi le mani! Quanto baccano, per un
motivo così lieve Maledetto l’intingolo coll’aglio! Maledetto sia il cuoco che
lo ha preparato e che me lo ha portato!”
Tutte le
dame [….] ebbero pietà di me [….].
“ Sorella
nostra cara e buona dama! [….] Quest’uomo, per la verità, non sa vivere, e
ignora il vostro grado ed i riguardi che meritate: ma vi supplichiamo di
perdonargli.”
“Io non sono
soddisfatta” ripigliò quella “ e voglio
che impari a vivere e porti i segni della sua inciviltà così che non gli capiti
più di mangiare un intingolo con l’aglio, senza poi lavarsi le mani.”
Esse non si
arresero al suo rifiuto ; si gettarono ai suoi piedi e baciandole la mano le
dissero:
“ Buona
signora, in nome di Maometto, moderate il vostro sdegno e concedeteci la sua
grazia!”
La dama non
rispose, [….] uscì dalla camera e tutte le dame la seguirono [….].
Stetti dieci
giorni senza vedere nessuno, fuorchè una vecchia schiava che mi veniva a
portare da mangiare.
Amavo mia
moglie, nonostante la sua crudeltà, e la compatii.
[….] un giorno entro mia moglie:
“Come vedete,
sono molto buona nel venire da voi dopo l’offesa che mi avete fatto; ma non mi
posso risolvere a riconciliarmi con voi, prima di avervi castigato come lo
meritate per non esservi lavate le mani dopo aver mangiato l’aglio”.
Dopo di ciò
chiamò le donne, mi fece legare e coricare per terra, poi prese un rasoi, ed
ebbe la barbarie di tagliarmi i quattro pollici.
[….]
“Ah! Signora”,
dissi allora a mia moglie, “ se mi capiterà di mangiare un intingolo con
l’aglio, vi giuro che invece di una volta mi laverò le mani cento venti volte
con alcali, con la cenere della stessa pianta e con il sapone”.
“ Bene, mi
disse mia moglie, “ a questo patto consento a dimenticare la vostra colpa e a
vivere con voi”.
[….] vivemmo
insieme, mia moglie ed io, come se non avessi mai mangiato l’intingolo con
l’aglio.
TORTA D’ERBE
Questa torta d’erbe simboleggia, la guerra che i
Lucchesi ed i Fiorentini nel 1289, fecero sul contado di Pisa, dove, i soldati
del castello di Caprona, dovettero uscire trovandosi nel mezzo tra i due
schieramenti dei soldati (Divina Commedia). Rappresenta la pasta della torta,
ed il suo contenuto (erbe, uova e formaggio), rappresenta la devastazione dei
territori da parte dell’esercito invasore.
Nel detto anno
1289 del mese d’Agosto, i Lucchesi feciono oste sopra la città di Pisa colla
forza de’Fiorentini, che v’andarono quattrocento cavalieri di cavallate, e
duemila pedoni di Firenze, e la taglia di loro e dell’altre terre di parte
guelfa di Toscana, e andarono insino alle porte di Pisa, e fecionvi i Lucchesi
correre il palio per la loro festa di san Regolo, e guastarla intorno in
venticinque dì che vi stettero oste, e presono il castello di Caprona, e
guastarono, e tutta la valle di Calci, e quella di Buti, e guastarono intorno
Vicopisano, e dieronvi più battaglie, ma non l’ebbeno, e tornarsi a casa sani e
salvi, e di Pisa non uscì persona d’arme a loro contrario.
Villani Vol. I
pag. 467
Per ch’io mi
mossi e a lui venni ratto
e i diavoli si
fecer tutti avanti,
sì ch’io
temetti ch’ei tennesser patto;
così vid’io
già temer li fanti
ch’uscivan
patteggianti di Caprona,
veggendo sé
tra nemici contanti.
Dante, inferno
can. XXI, 91-99
SEPPIE FATTE
COME FUNGHI
Seppie nere
Questo piatto, ci riporta indietro nel 1117, quando
i Pisani chiesero ai Fiorentini di difendere la loro città dagli attacchi dei
Lucchesi, perché l’esercito pisano sarebbe partito alla conquita dell’isola di
Maiorca, tenuta dai saraceni. Al ritorno dell’esercito pisano vittorioso, Pisa
chiese ai Fiorentini, ringraziandoli dell’aiuto avuto, che dono volessero, ed i
Fiorentini chiesero loro due colonne magiche. I Pisani per invidia od altro le
annerirono facendo sparire le virtù magiche delle colonne e per non farsene
accorgere subito le coprirono di uno telo scarlatto.
Le seppie nere avvolte in foglie di radicchio rosso,
rappresentano le colonne nel panno scarlatto.
Negli anni di
Cristo 1117, i Pisani feciono una grande armata di galee e di navi, e andarono
sopra l’isola di Maiolica [Maiorca] che
la tenevano i Saracini. […….]. I Pisani […] per paura dei Lucchesi […..],
presono per consiglio di mandare loro ambasciatori a’ Fiorentini, i quali erano
in quei tempi molto amici i detti comuni, e pregarono che piacesse loro di
quardare loro la cittade, confidandosi di loro comeloro intimi amici e cari
fratelli. Per la qual cosa i Fiorentini accettarono di servigli […], per la
qualcosa il comune di Firenze vi mandò gente d’arme assai a cavallo e a
piedi, e puosonsi ad oste fuori dalla
città a due miglia: e per onestà delle loro donne non vollero entrare in Pisa,
e mandaro bando che nullo non entrasse nella città sotto pena della persona:
uno v’entrò, e vi fu condannato a impiccare. I Pisani vecchi ch’erano rimasti
in Pisa, pregarono i Fiorentini che per loro amoregli dovessero perdonare, non
lo vollero fare, e i Pisani contradissero, e pregarono che almeno in su loro
terreno nol facessero morire; […] i Fiorentini […] a nome del comune di Firenze
comperarono un campo di terra da un villano, e in su quello rizzarono le
forche, e fecero giustizia […]. E Tornata l’oste de’ Pisani dal conquisto di
Maliolica, rendero molte grazie a’Fiorentini, e domandarono quale segnale del
conquisto volessono, o le porte del metallo, o due colonne del profferito [
porfido] ch’avevano recate e tratte di Maiolica: i Fiorentini chiesero le
colonne, e i Pisani le mandarono in Firenze coperte di scarlatto; e per alcuno
si disse, che inanzi le mandassero per invidia le feciono affocare
[affumicare], e le dette colonne sono quelle che son dritte dinanzia a San
Giovanni.
G. Villani
vol. I pag.177-178
Queste colonne possedevano una virtù particolare,
una forza misteriosa comunicata dall’arte magica dei Saraceni, per la quale chi
si poneva dietro di esse, acquistava la facoltà di riconoscere l’autore di
qualsiasi ladrocinio, tradimento e ferimento, anche se compiuto all’oscuro o
furtivamente. I Pisani con vile ingratitudine affumicarono le colonne, operazione che fece loro perdere la
misteriosa virtù; le avvolsero in magnifiche stoffe scarlatte e le mandarono a
Firenze, dove i cittadini si lasciarono ingannare da quella ipocrita parvenza
di amicizia e troppo tardi scoprirono l’inganno, Da questo avrebbe avuto anche
origine il soprannom
e di “ciechi” [orbi]
dato ai Fiorentini appellativo ricordato pure da Dante nella Divina Commedia:
Vecchia fama
del mondo li chiama orbi;
Inferno, canto XV, 67
TERZO SERVIZIO
Il terzo servizio rappresenta il servizio più
importante ed è a base di arrosti.
Questo menù è composto da una torta e due arrosti
accompagnati da due salse (savore).
TORTA DI RE
MANFREDI DI FAVE
Questa ricetta è contenuta in un manoscritto della
Biblioteca di Nizza (Francia).
Chi era re Manfredi?
Figlio naturale dell’Imperatore Federico II, nel
1258 fu incoronato re dell’Italia Meridionale. Il Papa Alessandro IV, volendo
mantenere il controllo sul regno dell’Italia Merdionale, paladino dei
Ghibellini, lo scomunicò.
I papi successivi, Urbano IV e Clemente IV, si
allearono con Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che lo sconfisse nella
Battaglia di Benevento (1266).
Dante lo incontra nel Purgatorio fra gli scomunicati
e lo descrive così:
Biondo era e
bello e di gentile aspetto,
Ma l’un de
cigli un colpo avea diviso.
……………………
l’ossa del
corpo mio sarieno ancora
in co del
ponte presso Benevento
sotto la
guardia de la grave mora
Or le bagna la
pioggia e move il vento
Di fuor del
regno, quasi lungo ‘l Verde,
dov’è la
trasmuto a lume spento
Manfredi agli inizi del 1260, mandò un esercito di
cavalieri a difendere Siena dagli attacchi dei fiorentini. Nell'agosto dello
stesso anno l’esercito fiorentino partì verso Montalcino per portare soccorso
alla città assediata dalle truppe senesi. L’esercito fiorentino arrivato a
Montespertoli, sulle sponde dell’Arbia, ingannato e tradito da dei Ghibellini
fiorentini infiltrati nell’esercito, venne attaccato e
Lo strazioe ‘l
grande scempio
che fece
l’Arbia colorata in rosso
tal orazion fa
far nel nostro tempio
Dante, Inferno, Canto X
[……] più di
duemilacinquecento ne rimasono al campo morti, e più di millecinquecento presi
pur dè migliori del popolo di Firenze di ciascuna casa [….]
Venuta in
Firenze la novella della sconfitta dolorosa, e tornando i miseri fuggiti di
quella, si levò il pianto d’uomini e di femmine in Firenze si grande, ch’andava
in fino a cielo, imperciocchè non avea niuna in Firenze piccola o grande, che
non vi rimanesse uomo morto o preso [….]
Villani, Cronaca, vol. 1 pag. 302
Manfredi, diede l’ordine ai senesi di distruggere
Firenze, e nella riunione ad Empoli, fra i senesi e le grandi famiglie
ghibelline, Farinata degli Uberti prese la parola in difesa di Firenze,
“A ciò non fu’
io sol” disse “ né certo
sanza cagion
con li altri sarei mosso.
Ma fu’ io
solo, là dove sofferto
Fu per ciascun
di tòrre via Fiorenza,
colui che la
difesi a viso aperto”
Dante, Inferno, canto X
Un anno dopo Pisa si alleò con Manfredi, scacciò i
guelfi ed entrò nella Lega toscana dei Ghibellini. Manfredi mandò un esercito
di cinquecento cavalieri a Pisa, e questa cominciò la guerra contro Lucca. I
luoghi fortificati dei lucchesi alla destra dell’Arno inferiore, vicino al
territorio dei Pisani – Santa Maria a Monte, Montecalvoli, Santa Croce,
Castelfranco e Pozzo – furono costretti a capitolare.
Nel 1264 anche Lucca capitolò. Pisa, che aveva
combattuto maggiormente contro i suoi vicini, pensava di raccogliere i frutti,
invece, Manfredi ed il suo vicario Guido Novello presero in consegna tutti i
castelli ed i territori che erano oggetto di contestazione per la sorveglianza
di Firenze.
LA TESTA DI GADDO
Il Conte Ugolino della Gherardesca fu imprigionato
con i suoi figli e nipoti nella Torre della Muda dove furono lasciati morire di
fame: da allora fu chiamata Torre della Fame. Questo fatto ci introduce una
ricetta medioevale: Testa d’agnello arrosto.
[…….]
e io senti’
chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile
torre; ond’io guardai
nel viso a’
mie’ figliuoi sanza far motto.
Io non
piangea, si dentro impetrai:
piangevan
elli; e Anselmuccio mio
disse: “ Tu
Guardi sì, padre! Che hai?”.
Perciò non
lagrimai né rispuos’io
Tutto quel
giorno né la notte appresso,
infin che
l’altro sol nel mondo uscìo.
Come un poco
di raggio si fu messo
Nel doloroso
carcere, e io scorsi
Per quattro
visi il mio aspetto steso,
ambo le man
per lo dolor mi morsi;
ed ei,
pensandi ch’io ‘l fessi per voglia
di manicar, di
sùbito levorsi
e disser:
“Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di
noi: te ne vestiti
questa misere
carni, e tu le spoglia”.
Questa’ mi
allor per nbon farli più tristi;
lo dì e
l’altro stemmo tutti muti;
ahi dura
terra, perché non t’apristi?
Poscia che
fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si
gittò disteso ‘a Piedi,
dicendo: “
Padre mio, ché non m’aiuti?”.
Quivi mrì; e
come tu mi vedi,
vid’io cascar
li tre uno ad uno
tra ‘l quinto
dì e ‘l dolor, potè ‘l digiuno.
Quand’ ebbe
detto ciò, con li occhi torti
riprese ‘l
teschio misero co’ denti
che furo a
l’osso, come d’un can, forti.
INFERNO, CANTO XXXIII 46-78
PIETRO CORVARA
LA MALALINGUA
Nel conflitto fra l’Imperatore e la Chiesa, troviamo
il re Ludovigo di Norimberga, detto il Bavaro, il cui desiderio di farsi
incoronare imperatore a Roma è ostacolato dal Papa Giovanni XXII. Così fra
scontri politici, destituzioni del papa e scomuniche, il Bavaro elegge un altro
Papa Pietro Corvara (antipapa), che a sua volta elegge vari vescovi e si fa
incoronare Imperatore.
L’antipapa arriva a Pisa dove viene accolto dal vero
papa. Finirà gli ultimi anni della sua vita ad Avignone nelle prigione del Papa
Giovanni XXII.
Questa guerra fra il papa e l’antipapa è stata una
guerra verbale di parole, di malalingua, ed è proprio questa malalingua che ci
introduce alla ricetta della lingua
arrosto.
Questa
ricetta arriva da un manoscritto francese. Solitamente oggigiorno la
lingua viene utilizzata nel bollito, sorprende quindi la ricetta e la sua
esecuzione.
La lingua infatti, viene prima lessata, poi
lardellata per renderla morbida ed infine arrostita. La lingua arrosto veniva
accompagnata con la salsa camelina o con la mostarda.
Nel detto anno
[1328], a dì 13 del mese di Dicembre, il Bavaro, il quale diceva di essere
imperadore, si congregò uno grande parlamento, ove furono tutti i suoi baroni e
maggiori di Pisa laici e cherici che temeano quella setta, nel quale parlamento
frate Michelino di Cesena, il quale era stato ministro generale de’ frati
minori, sermonò in quello contro a papa Giovanni, opponendogli per più falsi
articoli e con molti autoritardi ch’egli
era eretico e non degno di papa; e ciò fatto, il detto Bavaro a modo di
imperatore diè sentenza contro il detto papa Giovanni di privazione. E in
questi medesimi tempi e mese di Dicembre per le digiune Quattrotempora, il
detto papa Giovanni appo Vignone in concestoro dè suoi cardinali e dè prelati
di corte pievicò e fece gran processi contro il detto Bavaro, siccome eretico e
persecutore della santa Chiesa e dè suoi fedeli, e per sentenziale il privò e
dispuose d’ogni dignità e stato e signoria, e commise tutti gl’inquisitori
della eretica pravità che procedessero contro a lui e chi gli desse aiuto o
conforto o favore.
G. Villani Vol. III, cap. CXI
Nel detto anno
[1328], a dì 3 di Gennaio, l’antipapa di su detto, frate Piero di Corvara,
entrò a Pisa a modo di papa con i suoi sette cardinali fatti per lui, al quale
per lo Bavaro detto imperadore e da sua gente e dà Pisani fu ricevuto con
grande festa e onore, andandogli incontro il chericato e’ religiosi di Pisa
e’laici col detto Bavaro con grande processione a piè e a cavallo, con tutto che
quegli che ‘l vidono, dissono che parea loro opera isforzata e non degna, e la
buona gente e’savi di Pisa molto si turbarono, non parendo loro ben fare
sostenendo tanta abominazione. E poi a dì 8 del detto mese di Gennaio, il detto
antipapa predicò in Pisa e diede perdono, come potea, di colpa e di pena, chi
rinnegasse papa Giovanni, e tegnendolo per non degno papa, confesssandosi
de’suoi peccati infra gli otto dì, e confermando la sentenza che ‘l detto
Bavaro avea data contro a papa Giovanni per la predica di frate Michelino, come
dicemmo addietro.
G. Villani Vol. III, cap. CXII
SAVORE
Il savore è la salsa che serve per dare sapore e ad
aromatizzare la carne o il pesce, sia arrosto che lessi.
Le salse sono consistenti, di gusto schietto, spesso
acide o agrodolci e servono per risvegliare il palato. Quasi sempre legate
senza grassi, variano per colore e
sapore.
Qui troviamo un’Agliata,
salsa sempre presente nelle tavole del Medioevo, che accompagnava lessi o arrosti, sia di carne che di pesce.
Era, ed è, possibile giocare sulla forza dell’aglio per ottenere una salsa più
o meno intensa.
Proponiamo un altro savore la Camelina, essa è un classico delle tavole medievali. Il nome camelina si può riferire alla cannella o al colore nel
mantello del cammello.
Il sapore della salsa camelina varia da nazione a
nazione, privilegiando alcune spezie rispetto ad altre: la Camelina italiana ha
una prevalenza di chiodi di garofano, la francese di zenzero, la catalana e l’
inglese di spezie varie, ma tutte puntano sulla cannella.
QUARTO
SERVIZIO
Il quarto servizio è composto da due dolci: un riso
dolce e delle pere cotte in vino dolce e speziato.
RISO DI
RUSTICHELLO
Questo dolce è stato inserito in onore dello
scrittore Rustichello da Pisa, che
conobbe Marco Polo nelle prigione genovesi, entrambi fatti prigionieri
durante la guerra fra Genova e Venezia.
Durante tale prigionia Messer Marco Polo dettò a
Rustichello le memorie del suo viaggio verso i popoli d’Oriente. Questi popoli
facevano grande uso di riso per produrre bevande alcoliche come il vino
e lo mangiavano come noi utilizziamo il pane.
Nel detto anno a dì 8 di
settembre, essendo grande guerra in mare tra i genovesi e ‘ Vinizianidi
centiventi galee; e’ detti Genovesi,
ond’era capitano e ammiraglio messer Lamba d’Oria passarono la Cicilia e
misonsi nel golfo, con intendimento di andare infino alla città di Vinegia, se
in altro luogo non trovassino i Viniziani; ma come furoni in Schiavonia,
trovarono l’armata de’ detti Viniziani all’isola della Scolcola, ov’ebbe tra’
due stuori aspra e dura battaglia; alla fine furono sconfitti i Viniziani, e
molti ne furono morti ne furono morti e presi, e settanta corpi di loro galee
ne furono menate co’pregioni in Genova.
G. Villani vol. II, pag 29
Negli anni di
Cristo 1299 del mese di Maggio, pace fu tra’ Genovesi e’ Viniziani, e ciascuno
riebbe i suoi pregioni […].
G. Villani Vol.II, pag. 30
PERE AL VINO
GRECO
Le pere nel Medioevo venivano preparate e mangiate
anche come verdure al posto delle rape. Le pere candite, inserite in questo servizio, vengono menzionate nei
menù presentati ai banchetti allestiti nel 1326 in occasione dei festeggiamenti
per l’ingresso del senese Francesco Bandinelli in cavalleria.
Il vino greco utilizzato per questo dolce era una
vernaccia, che veniva prodotta nel sud-est del Mediterraneo, nelle isole
tirreniche e in Liguria. Oggi la vernaccia è uno dei più famosi vini sardi,
vino tipico liquoroso che arriva fino a 14-16 gradi.
IPPOCRASSO
E’ un vino speziato, del quale esistono infinite
ricette. L’ipocrasso può essere dolcificato con zuchero e/o miele.
CAFFE’
Il caffè fu importato dall’Arabia sud-occidentale
fra il XIII ed il XIV secolo.
La sua coltivazione
si sviluppò in Etiopia ed in altre regioni dell’Africa orientale: si
affermò con i semi torrefatti di caffè
la preparazione di una bevanda che le tradizioni arabe fanno risalire al
Trecento, attribuendone la scoperta ad un pio personaggio dello Yemen che
inizialmente se ne sarebbe servito per prolungare le veglie mistiche.
Il caffè raggiunge poi l’Egitto e da qui si diffonde
in tutto l’Impero Turco verso Oriente, fino all’India. Dalla seconda metà del
‘500 cominciò ad essere importato in Europa per iniziativa soprattutto dei
mercanti veneziani.
Con il successo della bevanda nacquero nuove
piantagione: a Giava per mezzo degli olandesi, nelle Antille per mezzo dei
francesi e poi nelle colonie spagnole e portoghesi dell’America
centro-meridionale.
PANE
Tu proverai sì come sa di
sale
lo pane altrui,
PARADISO, CANTO XVII, 58-59
Accettare un invito
ad un banchetto medievale
è salire su una macchina del
tempo
viaggiare in
epoche antiche
in sensazioni sconosciute
sprofondare nella storia
e volare su terre lontane
MENU’
COLAZIONE
Frutta di stagione con
malvasia o zibibbo
1° SERVIZIO
1.Porrata di verdura di magro
2.Lasagne
3.Gnocchi di prugne
2° SERVIZIO
1.Torta agli agli
2.Torta d’erbe
3.Seppie fatte come funghi
3° SERVIZIO
Sovare: agliata e camellia
1.Torta Manfredi
2.Testa di Gaddo
3.Pietro Corvare la malalingua
4° SERVIZIO
1.Riso di Rustichello
2.Pere al vino greco
Accompagnati con Ippocrasso
Tutto questo annaffiato con
buon vino, senza essere “infinocchiati”
CAFFE’
“beverei prima
il veleno,
che un bichier
che fosse pieno
dell’amaro e
reo caffè”
( Francesco Redi)
PANE
Tu proverai sì come sa di
sale
lo pane altrui,
PARADISO, CANTO XVII, 58-59
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